Articolo tratto dal Manifesto del 9 Ottobre 2001 In Germania si riapre la partita
Il ministero delle finanze tedesco credeva di aver trovato un cavillo giuridico per escludere dai rimborsi previsti per il lavoro coatto nella Germania nazista gli ex internati militari italiani. Un parere in questo senso, presentato il 31 luglio dal professor Christian Tomuschat, ordinario di diritto internazionale all'università Humboldt di Berlino, era subito stato fatto proprio dal governo e dalla Fondazione "Memoria, responsabilità e futuro", incaricata di indennizzare i sopravvissuti. Nel redigere il suo parere contro i militari italiani il professor Tomuschat non aveva però tenuto conto di un precedente che rischia adesso di far crollare la sua perizia come un castello di carta. Infatti i prigionieri di guerra polacchi, catturati dalla Wehrmacht nel 1939, sono già stati inclusi nei programmi di indennizzo: non in quanto prigionieri, visto che la legge precisa che "la prigionia non dà diritto a rimborsi", ma perché, a partire dal 18 maggio 1940, vennero messi a disposizione dell'industria tedesca come "lavoratori civili". Lo stesso cambiamento di status fu imposto nell'estate del 1944 anche agli internati militari italiani: ai fini dello sfruttamento della loro forza lavoro era infatti più conveniente farli "gestire" e sorvegliare direttamente dalle imprese piuttosto che dall'apparato amministrativo della Wehrmacht. L'analogia nella "civilizzazione" dei soldati polacchi e di quelli italiani è così evidente che, se la Fondazione volesse ostinarsi a trattarli diversamente, rischierebbe di perdere un eventuale ricorso presentato al tribunale amministrativo di Berlino dagli "Imi", gli ex internati italiani. Ma non è detto che si debba aspettare il verdetto dei giudici. Ieri sera è arrivata a Berlino una delegazione del coordinamento tra le associazioni italiane dei sopravvissuti all'internamento e alla deportazioni in Germania: potrà partecipare il 10 e l'11 ottobre a una riunione del consiglio di amministrazione della Fondazione tedesca, che avrà tra i punti all'ordine del giorno anche la sorte degli "Imi". La controversia che sembrava chiusa dal parere del professor Tomuschat è dunque destinata a riaprirsi. Per i "suoi" prigionieri il governo polacco si era battuto con forza nei negoziati internazionali che portarono alla formulazione della legge sugli indennizzi, entrata in vigore il 12 agosto 2000: trattative a cui i tedeschi non invitarono gli italiani, e a cui i governi italiani nemmeno chiesero di partecipare. La posizione iniziale dei tedeschi era di escludere in blocco tutti i prigionieri di guerra: altrimenti si sarebbe aperta l'enorme partita dei prigionieri sovietici. Con i polacchi ci si accordò sulla seguente formulazione nelle motivazioni della legge: "Prigionieri avviati al lavoro non hanno in linea di principio diritto agli indennizzi perché, secondo le regole del diritto internazionale, i prigionieri di guerra possono essere avviati al lavoro dallo stato che li ha in custodia. Persone dimesse dalla prigionia, e ricondotte nello status di lavoratori civili, possono aver diritto agli indennizzi, qualora ricorrano le altre condizioni". E questo è il punto sul quale adesso possono far leva anche gli internati militari italiani. Certo, per loro c'è da dire che i nazisti, dopo il capovolgimento di alleanze dell'8 settembre 1943, negarono loro perfino l'"onore" di considerarli "prigionieri di guerra". Per Hitler erano solo "traditori", da internare in condizioni atroci e da sfruttare come schiavi. Si potrebbe dunque far risalire il loro diritto all'indennizzo già al momento della cattura. Ma su questa linea argomentativa sarebbe arduo trovare interlucotori nei partiti tedeschi, tutti ugualmente terrorizzati dal "rischio" del nodo russo: i soldati sovietici, a dispetto del loro titolo di "prigionieri di guerra", vennero trattati ancora peggio degli italiani. Più facile far breccia sull'assunzione dello status di lavoratori civili a partire dall'estate del 1944. Il professor Tomuschat sostiene che questo cambiamento di status non avrebbe mai avuto "sostanza" giuridica, perché non previsto dalle norme internazionali. Ma visto che viene considerato "valido" per i prigionieri polacchi, le sue considerazioni su questo punto non valgono la carta su cui sono state scritte. |