Lettera al presidente del Consiglio Giuliano Amato

Al prof. Giuliano Amato
Presidente del Consiglio
Palazzo Chigi - Roma

E p.c.
all’on. Prof. Lamberto Dini
Ministro per gli Affari Esteri
Farnesina - Roma 

Egregio Sig. Presidente,

tramite il capo del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cons. Mario Luigi Torsello, ho ricevuto una nota pervenuta dal ministero degli Esteri concernente l’accordo per l’indennizzo dei lavoratori coatti nell’industria bellica nazista e mi permetto di fare sull’argomento alcune considerazioni che La prego, signor Presidente, di leggere con profonda attenzione.

Le chiedo attenzione perché altrimenti non ci riusciremo mai a capire su quest’argomento che viene trattato in forma troppo burocratica e mi scusi l’impressione, di malavoglia.

1) L’Italia ha avuto 200-250 mila lavoratori coatti, dei quali 50.000 sono morti nei Lager durante il loro bestiale sfruttamento. Di questi lavoratori coatti e dei morti non sappiamo i nomi ordinati in modo anagrafico. Nessuno in Italia si è mai curato di farlo. Organizzare adesso che si parla di indennizzi una ricerca anagrafica richiede qualche anno di lavoro e magari può risultare impossibile.

2) Perciò le date stabilite dall’accordo di Berlino (presentazione delle schede o di una seria documentazione entro otto mesi dall’approvazione dell’accordo da parte del Parlamento tedesco) escludono dall’indennizzo la maggior parte di chi ha sofferto sotto la barbarie nazista.

3) Quello dell’indennizzo è un problema che supera l’accordo bilaterale di Berlino. Il diritto all’indennizzo è imprescrivibile, è un debito che la Germania si porta dietro dopo aver seminato il terrore nell’Europa occupata e sfruttata. Questo debito di sangue resta incancellabile nella Storia e non si chiude con un patto negoziato da ragionieri: io do tot miliardi di marchi e con questo pongo una pietra tombale sul passato.

4) Il governo italiano che rappresenta in toto questa massa di schiavi militari e di rastrellati civili e politici ha il dovere di dirlo apertamente al governo tedesco, non con un carteggio burocratico, ma in un incontro chiaro, deciso e cordiale.

Noi comprendiamo benissimo che ciò rappresenta una turbativa nei rapporti tra Roma e Bonn, con ricadute su settori come il commercio, le esportazioni e il turismo, ma noi abbiamo un debito da riscuotere, noi siamo i creditori ed i tedeschi i debitori. E’ un punto d’onore farsi riconoscere questo nostro diritto. Perciò dobbiamo superare ogni clausola che ponga delle prescrizioni. Auschwitz, Dora, Mauthausen, Buchenwald, Bergen-Belsen, Sachsenhausen non si prescrivono mai.

5) Chi ci ha inviato la nota, mi permetta di dirlo, così generica e ingenua non ha certamente pensato al lavoro necessario per preparare la documentazione richiesta per accedere all’accordo. Tale documentazione si trova in buona parte negli archivi del Ministero del Tesoro e della Corte dei Conti e dovrebbe essere riportata alla luce. Parte della documentazione, originariamente nei distretti, si trova ora negli archivi provinciali dello Stato. Tutto questo deve essere restituito a chi è ancora vivo o ai familiari dei deceduti.

6) Gli italiani deportati in Germania non sono mai stati prigionieri di guerra. Il loro status era quello di internati militari, privi della protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra. Nell’agosto 1944 vennero dichiarati "lavoratori liberi", ma sempre obbligati al lavoro forzato. A maggior ragione hanno diritto ad essere indennizzati.

7)Il Bundesprasident Rau ha dichiarato il 17 dicembre 1999: "Noi tutti sappiamo che non si possono realmente indennizzare le vittime dei massacri con del denaro. Noi tutti sappiamo che il dolore apportato a milioni di donne e uomini non può essere sanato. Non ha alcun senso anche contestarsi l’uno contro l’altro l’ingiustizia del passato. Il lavoro da schiavi e il lavoro coatto non significano soltanto il mancato pagamento di un giusto compenso. Significano anche deportazione, privazione dei diritti civili, il trattamento brutale della dignità umana.

Spesso essi vennero pianificati in modo tale da sterminare la gente con il lavoro.

Per tutti coloro che allora hanno perso la vita l’indennizzo arriva quindi troppo tardi così come per coloro che nel frattempo sono morti.

Perciò è importante che ora a tutti i sopravvissuti sia dato al più presto ciò che loro spetta. Io so che per molti il denaro non è decisivo. Essi vogliono che le loro sofferenze siano riconosciute come sofferenze e che l’ingiustizia di cui sono stati fatti oggetto sia detta ingiustizia.

Io ricordo oggi tutti coloro che, sotto il dominio tedesco, hanno dovuto sottostare a lavoro schiavistico o coatto e, a nome del popolo tedesco, chiedono perdono. Noi non dimenticheremo mai ciò che essi hanno sofferto".

8) Il nostro Istituto di Storia Contemporanea ha già raccolto in tutta Italia 7000 schede, le sta ordinando al computer, esamina le "memorie storiche" richieste e ricevute, classifica chi ha qualche documentazione in qualche modo valida e chi no. Neanche il 20% delle schede ricevute ha una documentazione valida. La maggioranza dei sopravvissuti non si ricorda nulla: non sa dov’era in Germania, non conosce la località in cui era costretto a lavorare, ha perduto ogni documento dato loro dai tedeschi con precisione burocratica. C’è chi è malato di Alzheimer, chi vive su una sedia a rotelle in qualche casa di riposo, ci sono famiglie che non riescono a tirar fuori dalla loro mente un solo dato. La massa degli internati aveva una cultura elementare e contadina: è logico questo risultato.

9) Tutti questi sopravvissuti privi di documentazione sono di fatto esclusi dalla convenzione di Berlino, la quale esige che si dimostri di essere stati in un Lager, in una fabbrica, in miniera, nelle città a rimuovere macerie e cadaveri, a riparare le linee ferroviarie, a produrre armi, esplosivi, a lavorare nelle fattorie. Ma anche senza documentazione queste persone mantengono intatto il loro diritto ad un indennizzo. I Distretti militari ci chiedono chiarimenti e direttive: bisogna mettere in moto anche questa parte della burocrazia statale e militare. Ci vuole molto tempo per arrivare in porto e quindi è necessaria la dichiarazione impegnativa del governo italiano sul non riconoscimento di una qualsiasi prescrizione.

10) L’Italia non può accettare sic et simpliciter, come scritto nella nota fatta arrivare al nostro Istituto, che ad occuparsi dei suoi problemi sia il Comitato internazionale della Croce Rossa di Ginevra. Ogni nazione deve avere – come previsto dai patti di Berlino – un proprio organo nazionale. La Croce Rossa può solo provvedere – con largo margine di tempo, per mancanza di personale – a fornire qualche dato individuale sulla permanenza nei campi di concentramento. Non è Ginevra a farlo, ma la Croce Rossa tedesca di Arolsen, che ha a disposizione tutti i registri rimasti intatti in molti Lager ed i Totenbucher. Ma Arolsen non ha un esercito di impiegati, lavora con precisione, ma richiede tempo.

11) Quanti sono i sopravvissuti? Abbozzo una cifra:20.000? Pensate se questa cifra fosse esatta al movimento di carte, di lettere e di comunicazioni che si renderebbe necessario. E gli scomparsi? Chi ci ha spedito la nota, tanto per dare una risposta scritta, non ha la minima idea di cosa sia il problema dei lavoratori coatti.

12) Non solo la Germania è debitrice verso queste persone bestialmente sfruttate. Lo è anche l’Italia, la quale non ha mai fatto nulla nei loro confronti. Noi pensiamo ad un Ordine cavalleresco (come per i cavalieri di Vittorio Veneto) con la consegna del titolo ad ogni superstite vivente o ai familiari degli scomparsi.

I sopravvissuti di cui noi all’Istituto abbiamo la documentazione chiedono in maggioranza che l’Italia dica loro "grazie" per aver tenuto fede al giuramento ed accettato una vita di miseria ed anche di morte senza mai piegarsi. Sono persone che dai Lager sono tornate a casa come scheletri: pesavano in media 35-40 chili, erano minati nel fisico. L’Italia di oggi – che è libera anche in ragione del loro sacrificio – deve intervenire onorando tanta dignità. E’ ciò che noi chiediamo ufficialmente e che chiederemo sempre finché non saremo ascoltati.

13) Il governo italiano deve assisterci, legalmente e finanziariamente, nelle cause legali che dovessimo aprire presso i Tribunali tedeschi. Non si può chiedere ai sopravvissuti di anticipare la somma richiesta per aprire una vertenza e pagare gli avvocati.

14) Noi Le chiediamo, signor Presidente del Consiglio, di leggere con attenzione queste nostre considerazioni e di testimoniare che l’Italia, pur con tutti i suoi difetti, ha una dignità e non può aspettare l’elemosina degli altri, nelle forme stabilite dagli altri. Bisogna riportare alla luce la grande pagina nera del nostro secolo, di cui noi siamo stati partecipi e vittime.

Attendo una Sua chiara e serena risposta, signor Presidente, pur sapendoLa immerso in un mare di problemi, una più complicato dell’altro. Lei dovrebbe trovare una persona svelta e decisa, con pieni poteri per portare avanti questo problema nazionale nascosto tra cumuli di atti burocratici e carteggi. Noi siamo pronti a dargli una mano.

Con profondo rispetto e viva simpatia, La prego di accettare i nostri più cordiali ossequi.

Ricciotti Lazzero
Presidente

Como, 6 giugno 2000

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