Salvezza e Shoah in Vallassina di Daniele Corbetta
da Don Carlo Banfi: un eroe sconosciuto. Solidarietà e impegno civile a Sormano 1943-1945. Documenti e testimonianze, 2013.
Bisogno di memoria - In questo tempo di crisi della convivenza (e delle certezze istituzionali, anche europee), conviene tornare alla lezione di chi, nella Resistenza, trovò risposte che rimangono. Ripensare alla Resistenza che è stata sorgente del nostro attuale umanesimo.
In Vallassina bisognerà ritrovare la figura di don Carlo Banfi (parroco di Sormano, 1938 - 1945), di cui ricorre quest'anno un anniversario: quello dell'accompagnamento in Svizzera di 16 ebrei (22 - 23 novembre 1943). Fu il gesto conclusivo di una pratica pastorale - quasi un manifesto - come servizio rivolto a tutti; in fondo, di una didattica della concretezza.
Era un senso comune alla migliore Resistenza (specie a quella appena successiva all'8 settembre, quando il centro-nord era stato abbandonato all'occupazione nazista e mancava un'organizzazione capillare) il dovere per ognuno di assumersi le proprie responsabilità. E' la "spontaneità autosufficiente" delle prime iniziative autonome, di cui parla Claudio Pavone (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991).
Don Banfi riassume questo principio etico, che ha evidenti riferimenti evangelici, in una lettera del 12.11.1949 al dott. Angelo Bianchi Bosisio, in cui ricorda l'allievo-amico Carlo Bianchi, fucilato a Fossoli con altri 66 il 12.7.1944. Don Banfi era andato a consolare i genitori, che l'avevano guardato con rimprovero, considerandolo quasi corresponsabile della morte del figlio (Carlo Bianchi era stato suo allievo all'oratorio della Barona, a Milano, dove don Banfi era coadiutore).
"Tutti noi abbiamo insegnato con la parola e con l'esempio che quando è l'ora si deve andare innanzi, se occorre pagare di persona." Chiarissimo.
E in effetti l'ing. Carlo Bianchi, che veniva spesso a trovarlo a Sormano, era divenuto presidente della FUCI (Federazione Universitari Cattolici Italiani) clandestina e attivista di OSCAR (Opera Scautistica Cattolica Aiuto ai Ricercati); poi fondatore dell'associazione "La carità dell'Arcivescovo" e collaboratore di Teresio Olivelli. Un legame importante anche per don Banfi. Carlo Bianchi era stato arrestato con Olivelli il 27.4.1944.
Quella stessa idea di "andare innanzi, se occorre pagare di persona" a Sormano fu praticata da tanti altri amici e collaboratori di don Banfi: Lina Paracchi, Piero Bussadori, Alessandro Beretta, il magg. Clemente Gatta... Soprattutto da una coppia di intellettuali comunisti, Ada Tommasi e Mario De Micheli, che erano ospiti nel piano seminterrato della casa del parroco. Questo era il primo rifugio di tanti perseguitati in fuga: quasi tutti cercavano una possibilità di salvezza in Svizzera; si trattava di ebrei, ex-prigionieri alleati, oppositori politici, militari italiani sbandati. E' un'esperienza che anticipa la Costituzione, questa collaborazione tra diverse culture in difesa dell'uomo (e non si dimentichi che si intitolava "L'Uomo" il giornale clandestino diffuso da Apollonio, Bontadini, Franceschini, padre Turoldo nell'Università Cattolica).
Così Sormano si trovò ad essere, nell'autunno '43, l'approdo di varia gente in pericolo, perché la Vallassina (come del resto anche l'alta Brianza e il Lecchese) era un rifugio facilmente accessibile per chi veniva dalla città e da più lontano.
Naturalmente arrivarono anche oppositori politici e militari coraggiosi, decisi a battersi per la dignità dell'Italia umiliata e per un'idea di nuova società. Il comando della prima Resistenza in Vallassina fu situato nella "Villa dei tre pini" a Sormano ed era costituito da ufficiali agli ordini del maggiore Clemente Gatta. I partigiani del Pian del Tivano e del monte S. Primo, invece, gravitavano attorno all'albergo del Pian del Tivano ed erano al comando di Cesare Pusinelli e del ten. Carlo Fumagalli.
Questi presìdi fornirono al parroco don Banfi una collaborazione essenziale per il soccorso ai perseguitati.
Salvezza e Shoah in Vallassina - Le iniziative di soccorso e Resistenza intrecciarono progressivamente una rete di contatti con il CLN di Milano (dalla fine di gennaio 1944: Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) e con i CLN locali, in via di formazione.
Nella Vallassina, come nella Brianza e nel Lecchese, il più infaticabile coordinatore di questa "spontaneità" iniziale fu Poldo Gasparotto, accademico del CAI, che verrà catturato a Milano l'11.12.1943; poi fucilato a Fossoli il 22.6.1944. Gasparotto era in collegamento con il gruppo di Puecher a Erba - Pontelambro e con quelli del magg. Gatta in Vallassina, di Pusinelli e Fumagalli al Pian del Tivano.
L'assistenza agli ex-prigionieri alleati in fuga, anche attraverso la Vallassina, poi il lago e le montagne di confine, fu affidata dal CLN centrale a Sergio Kasman ("Marco"), poi a Giuseppe Bacciagaluppi ("Joe"), che negli ultimi tempi operò dalla Svizzera.
Il solidarismo cattolico si esercitò soprattutto tramite la rete di OSCAR (don Enrico Bigatti, don Aurelio Giussani, don Giovanni Barbareschi, don Natale Motta ecc...) con la collaborazione di molti parroci di campagna e di confine. Contarono anche le iniziative singole, che rivelavano un sentimento diffuso, come quella del salesiano padre Davide Perniceni, viceparroco di S. Bernardo a Lodi e cappellano di un campo di concentramento: questi accompagnò due volte ex-prigionieri alleati fino a Sormano, per affidarli a don Banfi. Scoperto il 17.11.1943, finirà a Mauthausen, da cui tornerà per intercessione del card. Schuster.
In Vallassina l'afflusso di gente in pericolo crebbe notevolmente dopo il 20 settembre 1943, quando i nazisti chiusero la frontiera a Como e Varese. Da allora fu più sicuro (benché faticoso) raggiungere la Svizzera passando per Asso, Sormano, Magreglio, Civenna. Di là si scendeva a Nesso o Faggeto Lario, Lezzeno, Bellagio; si attraversava il lago e si valicavano le montagne di confine.
D'altra parte la Vallassina offriva numerose possibilità di rifugio (alberghi, pensioni, case di vacanza) ed era facilmente accessibile grazie alla Ferrovia Nord e a una discreta rete stradale. Purtroppo era facilmente accessibile anche per le forze nazifasciste; tanto che i partigiani entro il dicembre '43 dovettero trasferirsi altrove (sulle montagne del lago o in Valsassina). Un ordine esplicito era stato dato in tal senso dal CLN di Como verso la metà di novembre.
Ed è all'incirca in quel periodo che don Banfi pensò di accompagnare in Svizzera i suoi amici ebrei.
Comunque l'assistenza ai perseguitati continuerà anche nei mesi successivi, per quanto in forma clandestina e con maggiori rischi. Purtroppo in questa fase ulteriore la Vallassina conoscerà episodi orrendi: per gli ebrei una shoah.
Fino ai primi di maggio '44 il più importante snodo di raccordo, per l'assistenza ai ricercati, tra il centro (CLN di Milano, poi CLNAI) e il Triangolo Lariano e il Lecchese, fu quello organizzato in Brianza dal cap. Guido Brugger (tra Cesana, Suello, Bosisio Parini, Annone B.za, Molteno).
Guido Brugger si nascondeva nella cascina Brugné di Bosisio Parini, da dove coordinava i passaggi in montagna, tenendo i contatti con il presidente del CLNAI, Alfredo Pizzoni, suo vecchio amico (cfr.: A. Pizzoni, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli, Il Mulino, Bologna 1995, p. 202); oltre che con Kasman e Bacciagaluppi, naturalmente (Bacciagaluppi cita esplicitamente don Banfi nel suo Rapporto finale sull'attività svolta dal C. L. N. Alta Italia in favore di ex prigionieri di guerra alleati, in "Il Movimento di Liberazione in Italia", 1954, 33, pp. 3-31).
Del resto lo stesso Pizzoni aveva un rifugio nelle vicinanze, a Longone al Segrino, presso l'abitazione dell'industriale Carletto De Filippi. Brugger verrà arrestato il 4 maggio 1944 e morirà nel lager di Gusen: un martire, di una generosità indimenticabile.
La fuga da Milano per molti ricercati (tra cui gli ebrei che approdavano numerosissimi in Vallassina), poteva includere l'arrivo in treno alle stazioni di Merone, Pontelambro, Canzo-Asso, oppure Molteno e Oggiono (linee Milano-Asso, Como-Lecco, Milano-Molteno-Lecco). Poi il trasferimento in montagna con l'aiuto di partigiani o passatori retribuiti.
A prima vista appare sorprendente l'affollamento di tanti ebrei stranieri (in aggiunta agli italiani) in Vallassina. Quali le ragioni? Oltre alla facilità di accesso e alle opportunità già viste (che certamente sollecitarono gli afflussi dopo l'8 settembre), si può ritenere che molti vi avessero predisposto un rifugio fin dall'approvazione delle leggi razziali nel '38. Quei provvedimenti, tra l'altro, vietavano la residenza in Italia agli ebrei stranieri (R. d. L. 17.11.1938, art. 17), che perciò dovevano nascondersi. Molti ebrei stranieri (specialmente tedeschi) erano affluiti in Italia dal momento delle leggi antiebraiche di Norimberga (settembre 1935); tanti altri a seguito dell'espansionismo nazista verso l'Austria, i Sudeti, la Moravia, la Polonia.
Mussolini fino alla conferenza di Stresa (11-14 aprile 1935) si era atteggiato a oppositore dell'espansionismo tedesco, a garante dello status quo. Un'amara illusione. Anche in Italia arrivò la persecuzione razziale; con l'entrata in guerra, nel '40, fu disposto l'internamento degli ebrei stranieri. In Brianza, ad esempio, furono sedi di internamento Mariano Comense, Inverigo, Lambrugo, Erba...
Naturalmente tutti questi ebrei, dopo la caduta di Mussolini (25 luglio 1943) e a maggior ragione dopo l'8 settembre, fuggirono: molti in alta Brianza e Vallassina, a Canzo, Asso, Sormano, Magreglio e Civenna.
Sormano fu un approdo sicuro e una via di salvezza fino alla fine di novembre '43; fin quando, cioè, funzionò la rete di don Banfi. In seguito ci furono arresti e deportazioni.
Nel frattempo, infatti, i nazifascisti avevano completato l'occupazione del territorio. In ottobre le SS si erano stanziate a Canzo; la Guardia Nazionale Repubblicana (che sostituiva la vecchia Milizia e comprendeva anche i carabinieri) si era stabilita ad Erba, poi a Canzo, Asso, S. Valeria (amministrazione comprendente Caglio, Sormano e Rezzago).
Bellagio era diventata un'importante sede di presidio militare e di governo per la Repubblica di Salò, con la presenza di ambasciate e ministeri.
Nell'estate '44 a Longone al Segrino (Villa Beldosso) si insediò una formazione militare speciale tedesca, il Sonderkommando Magnus, dell'Abwehr II (scuola di commando per servizi speciali; si veda il saggio di Roberta Cairoli in Taccuino degli anni difficili. Alta Brianza e Vallassina 1943-1945, Istituto di Storia Contemporanea P. A. Perretta - NodoLibri, Como 2009, pp. 95-97).
Nell'ottobre '44 Himmler trasferì ad Asso e Canzo il reggimento di artiglieria della 59.a brigata (poi 29.a divisione) delle SS italiane.
Bisogna anche ricordare che la Repubblica Sociale Italiana aveva emanato l'atto amministrativo più abietto della storia d'Italia: l'ordine di arresto e di deportazione nei campi di sterminio di tutti gli ebrei presenti sul territorio (Mussolini - Buffarini Guidi, 1 dicembre 1943). I fascisti di Salò non furono soltanto spettatori, ma carnefici.
Dal dicembre '43 la Shoah macchiò anche la Vallassina. Il Libro della memoria di Liliana Picciotto Fargion (Mursia, Milano 2002) elenca numerosi ebrei arrestati a Sormano e Magreglio e assassinati nei lager tedeschi. Persone ospiti di questi paesi, che non sono state salvate. Le ricordiamo per un debito di onore e di solidarietà.
Arrestati a Sormano: Oliviero Ruggero Barda (arrestato nel 1943, Auschwitz, morto il 25.9.1944); Salomone Barda e Renata Hannuna (arrestati nel 1943, Auschwitz, morti il 10.4.1944); Simeone Barda (arrestato nel 1943, Auschwitz, data di morte ignota); Alessandro Bardavid e Violetta Pontremoli (coniugi, arrestati il 13.3.1944, Auschwitz, data di morte ignota); Elia Bardavid (arrestato con i genitori il 13.3.1944, Auschwitz, morto dopo il 22.1.1945).
Arrestati a Magreglio: Frieda Junger (arrestata il 13.9.1944, Ravensbrück, data di morte ignota); Finder Breindel (arrestato il 13.9.1944, Auschwitz, data di morte ignota).
Di altri ebrei arrestati a Magreglio nella stessa data (13. 9.1944) non si hanno notizie.
Della famiglia Bardavid (padre, madre e figlio uccisi) si salvò la figlioletta Graziella, che era stata affidata ai coniugi Maria Bonaiti e Giuseppe Mazza di Asso. Nel 1998 lo Yad Vashem onorò Maria e Giuseppe con il riconoscimento di Giusti tra le nazioni.
I fatti di Vassena, Civenna e Magreglio - Il 13 settembre 1944 a Vassena (comune di Oliveto Lario) ci fu un atto di guerra partigiana: l'uccisione del ten. Hermann Weber, che provocò minacce di ritorsioni sui paesi del circondario. Invece l'esito imprevisto di quell'episodio fu la deportazione nei lager degli ebrei rifugiati a Magreglio e Civenna.
Era stato arrestato uno dei capi partigiani dei dintorni di Bellagio, Cesare Gilardoni, e trasferito a Lecco nella sede della GNR. I suoi compagni pensarono di catturare un ostaggio per proporre uno scambio. Perciò disposero un posto di blocco a Vassena (sulla strada Bellagio - Lecco) e intimarono l'alt al passaggio di un'auto tedesca, che non si fermò. Allora i partigiani fecero fuoco, ferendo gravemente il ten. Weber. Testimonianze locali riferiscono che l'ufficiale, in punto di morte, chiese ai suoi di non effettuare rappresaglie (cfr.: Taccuino degli anni difficili. Alta Brianza e Vallassina 1943-1945, cit., p. 91).
Comunque affluirono forze tedesche e fasciste, che rastrellarono i paesi costieri e quelli di montagna (Oliveto Lario con le frazioni di Vassena e Limonta; Civenna con le frazioni di Magreglio e Barni), intimando la consegna dei responsabili, pena gravi rappresaglie. Scadenza il 15 settembre. Furono presi in ostaggio gli anziani delle famiglie con figli renitenti o sbandati. Le camicie nere appartenevano alla XI brigata "Cesare Rodini" ed erano comandate dal cap. Antonio Ciceri, responsabile dell'Ufficio Politico Investigativo della stessa.
Per salvare la popolazione civile furono messe in atto varie iniziative. I parroci e il commissario prefettizio di Oliveto Lario si recarono alla casa del Fascio a Como, dove barattarono la salvezza della comunità con la consegna delle armi da parte dei partigiani locali. Qualcosa di simile dovette accadere a Civenna, dove spadroneggiava una squadra antipartigiana agli ordini del ten. Giovanni Tucci (nome di copertura, in realtà si chiamava Emilio Poggi: un ex-agente dell'OVRA), che alternava la violenza alla concessione di autorizzazioni, lasciapassare. Tale politica "moderata" era approvata dal capo della provincia Renato Celio e dal questore Lorenzo Pozzoli, mentre il federale Paolo Porta, comandante della XI Brigata Nera, propugnava una linea di intransigenza.
Un'altra iniziativa, questa più eccentrica ma certamente coordinata alle precedenti, fu messa in atto dallo scrittore tedesco Albert Rausch, residente a Magreglio.
Rausch era stato un autore di successo, ora caduto in disgrazia e perciò confinato a Magreglio in una specie di esilio controllato. Tuttavia conservava aderenze con elementi potenti della gerarchia nazista, tra cui il gen. SS Paul Zimmerman, che era stato suo amico (con lui aveva condiviso una passione per i concerti). Zimmerman era un personaggio pericolosissimo: responsabile nel Nord Italia della repressione antioperaia. Risiedeva a Blevio (secondo certe testimonianze, a Torno). I parroci di Civenna e di Magreglio (don Pietro Caprotti e don Ermelindo Viganò) convinsero Rausch a recarsi nella sua residenza e ve lo accompagnarono.
Il risultato fu che Zimmerman accettò di derubricare l'uccisione ad atto di criminalità comune e di non effettuare rappresaglie. Le ragioni di questa moderazione sono forse da identificare in un desiderio di migliorare la propria immagine (in previsione del finale di partita, ovviamente) e di tranquillizzare il territorio di Bellagio, che era sede di importanti istituzioni.
C'è però un documento del comune di Civenna che testimonia come in realtà una rappresaglia sia stata fatta: sulla parte più innocente e inerme della popolazione, quella degli ebrei (quasi tutti di origine straniera), che furono arrestati e inviati nei lager. La data è il 13 settembre 1944 (2 giorni prima della scadenza dell'ultimatum).
Ebrei presenti al 13 settembre 1944:
Arturo Spielberger, nato a Vienna il 26/7/1887, abitante in Civenna, frazione di Magreglio.
Anna Schrank Spielberg, nata a Vienna il 27/2/1888, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Milano 24.
Berta Reisman in Stossel, nata a Budapest il 25/10/1874, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Milano 24.
Jacob Junger, nato a Dragonina il 5/3/1865, residente in Civenna, frazione di Magreglio.
Frieda Junger, nata a Vienna il 7/7/1903, abitante in Civenna, frazione di Magreglio.
Betti Loringen in Junger, nata a Galanta il 16/5/1885, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Bologna 7.
Finder Herz Breindel, nato a Stopniza il 9/2/1890, abitante in Civenna, frazione di Magreglio.
Horn Herz Jetti, nato a Vienna il 7/10/1897, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Bologna 7.
Armin Abramo Schwarz, nato a Nyitra il 23/3/1869, abitante in Civenna, frazione di Magreglio.
Sarolta Gluk Schwartz, nata a Nyitra il 8/2/1874, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Milano 24.
Valeria Hoherberger Wassing, nata a Vienna il 10/8/1893, abitante in Civenna.
Felice Wassing, nato a Vienna il 18/10/1880, abitante in Civenna, via Cermenati 9.
Gli ebrei Ada della Torre in Toller, Francesca Toller, Antonio Toller, Kuzmann Rosher, Geltrude Herpe, Raffaele Herpe, Erna Lobl Seeman, Beata Seeman, Hamelae Seeman, Silvana Seeman, Attilio della Torre, Berardo Fontanella, Rosa Mendelsom Jakubonschi, non sono più presenti in questo Comune.
(Dall'Archivio del Comune di Civenna. Pubblicato da P. Ceruti in Un'altra vita. Albert H. Rausch - Henry Benrath, Grafica A.Zeta, Erba 2001, pp. 123-124.)
Come si è visto, due di queste persone, Frieda Junger e Finder Breindel, figurano nel libro di Liliana Picciotto Fargion tra i deportati e uccisi nei campi di sterminio (rispettivamente a Ravensbrück e ad Auschwitz). Si può ritenere con ragionevole certezza che anche gli altri siano stati arrestati; della loro sorte nei lager non si hanno notizie.
E' interessante osservare come quasi tutti gli ebrei arrestati fossero residenti a Magreglio. "Noi i nostri ebrei li abbiamo salvati tutti" dicono a Civenna. La differenza stava nel fatto che Civenna era un paese di contrabbandieri e di militari sbandati: gente esperta di montagna, disponibile ad accompagnare i fuggiaschi per umanità o per lucro. Magreglio invece era un paese più chic, di residenze borghesi, carente di quel particolare tessuto sociale.
I due ebrei di Civenna centro, compresi nell'elenco degli arrestati (Valeria Hoherberger Wassing e Felice Wassing), in precedenza erano stati accompagnati alla frontiera da passatori, ma respinti dalle guardie svizzere (cfr. la testimonianza di Zita Merzario in Taccuino degli anni difficili, cit., p. 105).
Rimane la sensazione che una permanenza rischiosa sia stata protratta troppo a lungo. Il comune era in possesso dell'elenco degli ebrei presenti e dei salvati (di quelli che erano fuggiti per tempo). Evidentemente gli ebrei di Civenna - Magreglio avevano raggiunto un modus vivendi con l'amministrazione, sicuramente approvato dalla banda del ten. Tucci, che spadroneggiava in paese come un signorotto, una specie di Kurtz (Cuore di tenebra, Conrad); che non disdegnava di prelevare tangenti dai contrabbandieri (cfr. la testimonianza di Angelo Colombo, in Taccuino degli anni difficili, cit., p. 93).
Probabilmente mancavano a Civenna - Magreglio i necessari collegamenti con la rete di assistenza del CLNAI, dal momento che le stesse bande partigiane erano alquanto precarie, instabili, più che altro costituite da renitenti nascosti, militari sbandati.
Soprattutto mancavano il coraggio e il lavoro di un personaggio profetico come il parroco di Sormano.
La lezione di don Banfi - Anche nei mesi della più crudele repressione, dopo la sua partenza, rimase viva a Sormano la lezione di don Banfi. Si è già detto che continuò, pur con maggiori difficoltà, l'attività degli amici: Ada Tommasi e Mario De Micheli, Piero Bussadori, Alessandro Beretta, il magg. Clemente Gatta (fin che poté)...
L'azione di don Banfi era stata tutt'altro che improvvisata. Aveva un radicamento e una proiezione educativa nell'esperienza del movimento cattolico di allora, soprattutto dell'Azione Cattolica milanese. Abbiamo visto il suo ruolo nella formazione di Carlo Bianchi a Milano. Bisognerà aggiungere la frequentazione dell'industriale Angelo Testori, presidente diocesano dell'Unione Uomini di Azione Cattolica, che risiedeva a Novate Milanese, ma era originario di Sormano. Del resto era stato proprio Giovanni Testori, lo scrittore suo cugino, ad accompagnare i De Micheli a Sormano. In quell'ambiente formativo avevano avuto un forte impatto le prese di posizione antirazziste di Pio XI ("L'antisemitismo è inammissibile. Noi siamo spiritualmente dei semiti", allocuzione del 6 settembre 1938 a un gruppo di giovani belgi della Jeunesse Catholique Ouvrière) e del card. Schuster ("Un'eresia antiromana", omelia del 13 novembre 1938, dove il razzismo è definito "pericolo internazionale non minore del bolscevismo"). La svolta di Schuster era tanto più importante se si considera che veniva dopo un'iniziale simpatia per il regime.
L'orientamento del parroco influenzò largamente i parrocchiani, che per la maggior parte solidarizzarono con i perseguitati, come conferma la testimonianza di Lina Paracchi (Sormano). Favorì anche l'intesa con i due ospiti Ada Tommasi e Mario De Micheli, che furono i principali continuatori della sua opera. Continuarono a risiedere nel seminterrato della casa parrocchiale e a ospitare perseguitati, nonostante le sgradevoli contestazioni da parte della curia milanese, finché furono arrestati nell'estate '44. I loro nomi sono ricordati nello Yad Vashem di Israele.
Del resto lo stesso don Banfi ebbe qualche difficoltà a giustificare presso la burocrazia curiale l'abbandono della parrocchia (che in realtà non restò senza preti, essendo stato nominato un sostituto, padre Gaetano Cappellini).
Nel dopoguerra continuò con modestia la sua attività nelle parrocchie di Mesenzana (Varese) e di Gorla (Milano), senza rivendicare meriti, convinto di avere semplicemente adempiuto ai suoi doveri. Ebbe la riconoscenza della Comunità Ebraica di Milano e l'amicizia di persone che aveva salvato o che l'avevano conosciuto nei momenti di difficoltà.
A noi quell'esperienza di Sormano rimane come un frammento della parte migliore della Resistenza, quella che ha praticato nel concreto, cioè nel vissuto, i Principi Fondamentali della Costituzione, anticipandola.
Rimane, accanto al dolore per le vittime di un'aberrazione storica, la lezione morale di don Carlo Banfi: interpretò un'idea di parroco-fratello di credenti e non credenti, che vede in chi soffre l'icona del santo volto.
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